In uscita “Eva schlaeft”, traduzione del libro di Francesca Melandri “Eva dorme”

„Alto Adige“ 16/02/2011
BARBARA GAMBINO

È passato quasi un anno dalla pubblicazione di «Eva dorme», il romanzo della scrittrice e sceneggiatrice romana Francesca Melandri pubblicato da Mondadori e ambientato in Alto Adige, un affresco vivido del nostro recente passato che prende corpo attraverso il racconto di un amore impossibile. Un romanzo d’esordio che si è rivelato un successo editoriale: giunto alla quinta ristampa a primavera arriveranno l’edizione in paperback e l’eBook. E dal 28 febbraio anche il pubblico tedesco potrà conoscere Eva Huber, l’infelice storia d’amore tra sua madre Gerda e il carabiniere calabrese Vito e ripercorrere la tormentata storia dell’Alto Adige dal 1919 ai giorni nostri: uscirà infatti «Eva schläft» per le edizioni Blessing Verlag / Random House di Monaco.

Nel suo romanzo ha affrontato uno scorcio di storia ancora poco frequentato. Com’è stato accolto dal pubblico?

Non so quanti lettori del Trentino-Alto Adige di tutti i gruppi linguistici mi hanno ringraziato per aver raccontato questa storia. Molti hanno espresso la convinzione che solo una persona non nata in regione avrebbe potuto raccontare una storia del genere senza alcun rancore. Un aspetto cui non avevo mai pensato mentre scrivevo: perché mai avrei dovuto scrivere con rancore? Credo che l’elemento che ha colpito più favorevolmente i lettori sudtirolesi sia stato proprio questo: l’equanimità.

Quali sono state le reazioni fuori dalla nostra regione?

Presentare il romanzo in altre regioni, dal Piemonte alla Calabria, mi ha permesso di percepire direttamente quale sia il rapporto tra l’Alto Adige e il resto del Paese. Un’esperienza molto interessante, che mi ha confermato come la gran parte dei nostri connazionali ignori completamente i fatti storici che ho trattato. Del resto è stata proprio la convinzione che la storia di questa provincia fosse sconosciuta ai più che mi ha portato a scrivere il libro, la constatazione che l’Alto Adige non fa ancora parte dell’identità collettiva italiana. Ho ricevuto molti messaggi anche da parte di ex-militari che all’epoca erano di servizio in Alto Adige: mi esprimevano il sollievo di vedere finalmente raccontata anche la storia della «loro» guerra, dei loro morti.

Raccontare le storie parallele di Gerda Huber e Vito Anania può aiutare a recuperare un frammento di identità nazionale?

Io intendo l’identità come una consapevolezza di sé dinamica e non chiusa o statica. Un racconto collettivo condiviso. Mi farebbe piacere quindi se il mio libro desse un contributo a un lavoro di narrazione storica partecipata non solo da parte di tutti gli altoatesini, ma anche degli italiani che in Alto Adige hanno trascorso magari solo una parte della loro esistenza.

Ultimamente in Alto Adige si parla molto di identità. Che ne penserebbe la quarantenne Eva, emancipata e poliglotta, protagonista e io narrante del romanzo, della mancata partecipazione da parte dell’Alto Adige alle celebrazioni dei 150 anni dell’Italia unita?

Eva, come molti della nostra generazione, si è lasciata la storia conflittuale alle spalle e vorrebbe andare oltre, guardare avanti. Troverebbe questa presa di posizione riduttiva. Siamo in una società multietnica e l’Alto Adige, anche per vocazione geografica, ne è un esempio lampante.

Cosa intende per riduttiva?

Intendiamoci: quando il presidente della giunta provinciale afferma che il 17 marzo l’Alto Adige non ha nulla da festeggiare, dal punto di vista storico non possiamo dargli torto. Ma l’accento in questo caso non dovrebbe essere posto sul termine «festeggiamento». Il 17 marzo poteva essere un’occasione per celebrare il percorso comune intrapreso insieme, non importa se sin dal 1861 o meno, per riflettere e condividere con gli altri la storia di ogni singolo lembo di terra che fa parte dell’Italia, per capire dove, da dove e come ci siamo arrivati.

L’identità condivisa…

Proprio così. Il fatto che il Sudtirolo non partecipi alla mostra sulle Regioni d’Italia è un’occasione persa. Ha perso l’opportunità di raccontarsi e di raccontare le sua travagliata storia al resto d’Italia. Pensi che grande occasione avrebbe avuto di far sapere agli italiani dei soprusi del fascismo, le Opzioni, Castel Firmiano, la convivenza… Mi sono sempre chiesta come mai le vicende dell’Alto Adige fossero ignote agli italiani. Ora comincio anche a chiedermi cosa abbia fatto sinora l’Alto Adige per far conoscere la propria storia. Anche farsi conoscere è un atto di responsabilità, di maturità collettiva.

Anche il suo prossimo romanzo sarà ambientato tra le Alpi?

No, anche se uno dei personaggi è sudtirolese. È ambientato nel 1979, negli Anni di piombo. Mi occupo del terrorismo dal punto di vista umano: l’eredità di dolore che esso ha provocato.

Dieser Beitrag wurde unter Artikel, italiano veröffentlicht. Setze ein Lesezeichen auf den Permalink.

Die Kommentarfunktion ist geschlossen.